
Dopo Sulla mia pelle, dedicato all’Odissea di Stefano Cucchi e alla sua ultima settimana di vita, Alessio Cremonini si conferma un regista al quale dare ascolto, e sale. Mai banale, il suo cinema continua a raccontare storie comunque utili a sollevare interrogativi e a sfidare l’abitudine nella quale spesso pigrizia e timore ci spingono. Come succede anche nel suo nuovo Profeti, in sala dal 26 gennaio (distribuito da Fortunate Purple), nel quale torna a collaborare con Jasmine Trinca, già Ilaria Cucchi nel movie del 2018.
In Profeti l’attrice romana è Sara è una giornalista italiana, in Medio Oriente per un reportage sulla guerra nello Stato Islamico, che viene rapita dall’Isis. In quanto donna, quindi inferiore e rispettabile solo se sottomessa al maschio, non può stare in una prigione dove siano anche degli uomini, per cui viene trasferita nella casa di Nur (interpretata dalla Isabella Nefar di Ready for the Barbarians), che da quel momento diventa la sua carceriera.
Anche Nur è una straniera, una international fighter radicalizzata a Londra che ha poi sposato un miliziano e ora vive nel Califfato nella casa che le due donne saranno costrette a condividere a lungo, proprio nel mezzo di un campo di addestramento dell’ISIS, dove altri prigionieri vengono torturati e uccisi. Fuori continua il conflitto che conosciamo, mentre tra le quattro mura si sviluppa una diversa guerra, psicologica, fatta di silenzi e sottili ricatti, per convertire Sara.
Non saranno mai abbastanza le occasioni di sottolineare l’abisso che intercorre tra fanatismo religioso e l’Islam praticato dai musulmani che la stessa international fighter attacca sullo schermo, un tema e un ambito culturale che il regista conosce bene, e al quale si dedica – come sottolinea lo stesso vincitore del David di Donatello come Miglior regista esordiente del 2018 – sin dal Non-public di Saverio Costanzo (del quale period co-sceneggiatore) e dal Border del 2013, “un piccolissimo movie sulla rivoluzione siriana mai uscito nelle sale“. Alla base il “desiderio di guardare fuori, a storie non italiane, ma che ci devono interessare“.
“In Medio Oriente, se sei una donna, devi imparare a difenderti il prima possibile“, queste parole ci accolgono all’inizio del movie, ma più – e oltre – che essere un inevitabile riferimento a quanto vediamo accadere in Iran, con l’incedere della storia è altrettanto naturale tornare con la mente alla vicenda vissuta dalla cooperante Silvia Aisha Romano, convertitasi all’Islam durante la prigionia in Somalia. Una scelta sincera? Disperata? Figlia della costrizione? Per quanto riguarda i casi citati, non ci permettiamo di fare ipotesi, ma per quanto riguarda il movie speriamo sia una scelta deliberata quella di lasciare il dubbio nello spettatore riguardo quel che accade nella casa, tra le due donne.
In Profeti, ci sono due donne occidentali che hanno fatto scelte diametralmente opposte, una lontana da qualsiasi fede, l’altra assolutamente convinta della propria, come molti, troppi. Temi cardinali – insieme a quello della prigionia, fisica e non solo, declinato anche nel movie sul caso Cucchi – che il movie tratta in maniera forse troppo ordinata, dall’inizio, quando la prima stazione del calvario di Sara si rivela particolarmente sopportabile, evidentemente in considerazione del reale obiettivo della cellula.
In un cinema politico come quello di Cremonini, d’altronde, l’importante è mettere in scena una realtà e delle metafore che il pubblico possa digerire, e portare con sé, anche a costo di rischiare di non chiarire elementi narrativi importanti o di aprire crepe nella coerenza interna dei personaggi. Se dopo aver visto il movie qualcuno in più penserà che sia meglio spegnere le fiamme della casa del vicino piuttosto che voltargli le spalle, il resto non sarà poi così importante.
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